Crema, 27 agosto 2025 

(Annalisa Andreini) La torta Bertolina: quella di pane.

È considerata la torta caratteristica della città di Crema e del territorio, legata all’uva nera (americana o fragola), un tempo anche all’uva clinton, nata da inneschi su alcuni vitigni autoctoni, falcidiati dalla distruzione dei vigneti a causa della filossera e altre malattie, che avevano colpito la vite europea.

Tipica del periodo autunnale ma, negli ultimi tempi, è un dolce che ha visto anticipare di gran lunga la sua comparsa sulle tavole e nelle vetrine delle pasticcerie a causa della maturazione precoce dell’uva, complice il gran caldo estivo.

È anche una torta su cui nel tempo è cresciuto fortemente l’interesse e la curiosità non solo dei cittadini ma anche dei tanti turisti in visita a Crema, diventando sempre più intrigante.

In vetrina e sui canali social è tutto un pullulare di torte bertoline (con svariate ricette) diciamo così rivisitate e arricchite rispetto alla torta originale della tradizione, che era la semplice Bertolina di pane.

In tanti però ultimamente sono ritornati a riproporla.

Come si faceva? 

Un tempo, raccontano alcune signore di Crema, non esisteva cortile o pergolato senza uva nera, per cui la torta era un appuntamento fisso a settembre/ottobre, tanto in città quanto nelle campagne, dove si portava a cuocere nei forni comuni.

Era un vero e proprio rito, atteso con trepidante gioia anche dai bambini, che certamente non avevano a disposizione tutti i dolci di oggi.

L’uva clinton, giunta in Europa nell’Ottocento, aveva fatto riprendere la coltivazione dell’uva anche nel territorio cremasco e nella città di Crema. Si dice che si coltivava dentro le mura di Crema per evitare i dazi. 

Ancora oggi esiste in città un quartiere, il Pergoletto, con le pergole di uva clinton, chiamata anche uva cremaschina. 

Una massaia cremasca racconta che la Bertolina si preparava con la pasta del pane lievitata e che era una torta con diversi strati: “Era una torta molto alta e profumata - dichiara la signora Carla - non certo come quelle che si vedono oggi che sembrano torte di mele morbide, in cui al posto delle mele ci mettono l’uva. Si prendeva una teglia alta e la si ungeva ben bene, si adagiava un primo strato di pasta di pane, e via con tanta uva fragola ben sgranata e ben asciugata. A questo punto si ricopriva con parecchio zucchero, quando c’era( ai tempi era considerato un bene prezioso) e poi ancora un altro strato di pasta e uno di uva (è determinante il rapporto tra la pasta e la quantità di uva che deve essere più del doppio della farina). Sullo strato di pasta finale, che ricopriva il tutto, ancora una bella spolverata di zucchero per creare quella bella crosticina croccante”. 

La torta, a questo punto, veniva messa a riposare, ricoperta da un telo e i ragazzi di casa, che avevano assistito a tutte le fasi di preparazione, facevano a gara per portarla a cuocere nel forno del paese.

Era una torta molto lunga da cuocere, più di un’ora e ancora oggi questa è una caratteristica su cui fare molta attenzione: il tempo di cottura, spesso trascurato.

Il risultato finale? 

Una torta profumatissima, con una superficie mai uniforme e mai regolare a causa dell’uva disposta casualmente e in cui i vari strati di pasta di pane erano intervallati dal succo rilasciato dall’uva in cottura, dalle tipiche sfumatura viola, rossastre e blu, che trasbordava generosamente.

Un succo che viene ricordato col sorriso perché spesso tingeva anche lingua e... vestiti.