Crema, 28 novembre 2023

(Valentina Ricciuti) La ricercatrice cremasca Valentina Fusari ha vinto il Consolidator Grant, premio prestigioso riconosciuto dall'European Research Council (ERC). Tra i 308 progetti selezionati, quello della Fusari, storica dell'Africa del Dipartimento di Studi Storici dell'Università di Torino, è stato finanziato con quasi 1,9 milioni di euro in 5 anni. 

"Redmix - Unpacking Mixedness for an Inclusive History of the Red Sea, 1800s-2000s (questo il nome del progetto) si propone di contribuire a una storia maggiormente inclusiva del Mar Rosso, a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla persistenza di linee divisive nelle società odierne e sull'urgenza di contrastare stereotipi e daltonismo razziale" - racconta Valentina Fusari.

Perché approfondire gli studi proprio sul Mar Rosso?

"Sono arrivata in questa regione privilegiata, più precisamente in Eritrea, con gli studi dottorali che ho svolto presso l'università di Pisa. Nello specifico ho applicato studi di fecondità femminile sulla popolazione eritrea (circa tre milioni). Si tratta di una realtà che storicamente ha mosso molti interessi, con una spiccata mobilità sia dall'Africa che dalla penisola arabica. Una realtà cosmopolita con pellegrini musulmani in viaggio verso la Mecca, missionari, mercanti indiani, europei. Nelle città plurilingue e plurireligiose le popolazioni si mescolano. Grazie al finanziamento dell'Ue andremo a indagare la storia del Mar Rosso dal basso: non solo quella degli stati e della diplomazia, ma ricostruiremo la storia delle popolazioni attraverso i loro occhi". 

Alla signora di Crema che oggi sta andando ad acquistare gli amaretti Gallina per fare dei buoni tortelli, perché dovrebbe interessare questo progetto?

"Le società sono ancora molto divise ed è quello che emerge chiaramente da questa tipologia di analisi. Il nipote della signora cremasca probabilmente avrà un compagno di classe che è figlio di una coppia mista con un background diverso e che risente di una marginalizzazione o di pregiudizi che arrivano da un bagaglio coloniale. Dovremmo decostruire gli stereotipi e approfondire la nostra storia condivisa e questo lo si può fare soltanto con la conoscenza. Sarebbe bello poter raccontare anche a Crema i risultati delle nostre indagini".

Quali sono le caratteristiche del progetto che le hanno permesso di vincere su oltre duemila progetti? 

"I fondi per la 'Ricerca di frontiera' vengono messi a disposizione dall'Ue per qualcosa di assolutamente originale, che nessuno ha mai fatto prima, con un alto livello di rischio e che porti ad un grande guadagno in termini di ricerca e conoscenza (che diversamente non si può ottenere). Deve però essere fattibile e per questo viene richiesto di rilevare tutti i rischi connessi e proporre delle misure di mitigazione".

Da quanto lavora a questo obiettivo? 

"Da circa un anno. Inviato il progetto, vi è una prima fase di valutazione da parte di una commissione europea di dodici persone in cui passano circa il 20% delle proposte. Nello step successivo, mediante un'intervista di 5 minuti e una fase di botta e risposta di oltre 20 minuti, il tutto viene valutato da parte di quattro membri della commissione e altri quattro membri esterni esperti su scala mondiale. Il successo raggiunto da questi progetti si aggira intorno al 13%".

Come li ha convinti?

"Ho strutturato la mia presentazione mettendo in evidenza che mancava una storia inclusiva dalla prospettiva delle persone di ascendenza mista nel Mar Rosso, nonostante queste persone fossero molto rappresentate nella regione (ad esempio etio-emeniti, italo-eritrei, arabo-africani). Ho dimostrato che la regione del Mar Rosso ha delle dinamiche e degli eventi propri per cui è fondamentale studiarla come regione a sé stante e non come un'appendice tra l'oceano Indiano ed il mar Mediterraneo. Ho messo in evidenza quanto sia importante seguire questi gruppi in determinati momenti storici ed attraverso le diverse generazioni."

Quanti ricercatori parteciperanno a questi studi?

"In questi cinque anni costruirò un team di ricerca internazionale con almeno sei persone con competenze complementari: dalle digital humanities (capacità di programmazione applicata ai documenti storici ed alle storie di vita) a ricercatori sul campo che si muovono bene tra le diverse lingue del Mar Rosso". 

Cosa farete nel concreto? 

"E' una missione sul campo e si costruiscono degli accordi con gli istituti presenti, sia per consultare gli archivi sia per intervistare le persone e ricostruire storie di vita dagli album di famiglia. Verrà costruito un archivio digitale che sarà anche una piattaforma per fare ricerca. Si lavorerà ad articoli scientifici, libri e convegni per presentare i nostri risultati coinvolgendo le comunità".

Quali sono gli obiettivi che si pone per il futuro?

"Vorrei che questo progetto possa diventare una piattaforma viva di interazione che coinvolga non solo chi ci lavora. Mi auguro che i ricercatori possano crescere non solo dal punto di vista scientifico ma anche professionale: che acquisiscano tutte le competenze per poter diventare indipendenti. Vorrei dare un maggior impulso agli studi africani in Italia, mettendo a disposizione fondi di progetto e invitando colleghi dal resto del mondo: questo permetterebbe di avere un centro studi di respiro internazionale con diverse voci e diversi approcci. Fondamentale mettere a disposizione degli studenti dei corsi studio dedicati: in Italia attualmente non c'è un insegnamento sul Mar Rosso".