Crema, 01 ottobre 2022
(Luigi Dossena) La storia dei promessi sposi la conosciamo in molti, quello che non si sa è che l'intera vicenda ha radici molto profonde a Crema e nel cremasco. Alessandro Manzoni è parente dei Visconti (e quindi dei Benzoni) e anche per questo motivo, volendo ben guardare, lui sarebbe cittadino onorario di Crema, privilegio concesso al suo avo Giovan Battista Visconti e a tutti i suoi discendenti, nel 1570, quando sposa Paola Benzoni. Manzoni viene a conoscenza della vicenda di Paola Benzoni, ben presto vedova di Giovan Battista, con sei figli e, ancora giovane, desiderosa di risposarsi. Di qui il fidanzamento con Cottino Cotta, nobile della Valcuvia. Ma il parroco del Duomo, Gian Pietro Benzoni, parente di Paola, è contrario al matrimonio e pronuncia la celebre frase: "Questo matrimonio non sa da fare". Due dei sei figli di Paola Benzoni la rapiscono per impedire le nozze e tra questi c'è l'undicenne Francesco Bernardino, che in seguito commetterà nefandezze in serie, avendo al proprio soldo un manipolo di bravi. Il Manzoni scopre tutto questo e fa diventare Francesco Bernardino l'Innominato della sua opera. Sarà lui a far rapire Lucia Mondello e sempre lui a far dire a uno dei suoi bravi: "Questo matrimonio non s'ha da fare". Infine, sul finire del romanzo, ancora lui si pente e continuerà la sua vita in modo retto, come accadde proprio a Francesco Bernardino, morto a Crema, dopo aver girato, penitente, i conventi del cremasco per espiare le sue nefandezze. Ultimo parallelo, il lago di Como. Manzoni avrebbe voluto ambientare il suo romanzo nel cremasco, ma mancava il lago, visto che il Gerundo era da tempo stato prosciugato. Quindi, ecco il trasferimento sul lago di Como.
Per riassumere, Lucia Mondella è Paola Benzoni, l'Innominato è Francesco Bernardino Visconti, i bravi erano al servizio di Francesco Bernardino e c'è pure il parroco del Duomo che non vuole il matrimonio.
Manca ancora la peste manzoniana. Ma questa è un'altra storia, la prossima
"Questo matrimonio non s'ha da fare"
Paola Benzoni, mamma dell'Innominato
L'innominato si pente dall'arcivescovo Federico Borromeo
Gian Pietro Benzoni, parroco del Duomo
Le tappe dell’Innominato
Il quadro nella chiesa di Bagnolo dove c’è l’Innominato
Manzoni a Crema
I quattro parroci del Duomo della famiglia Benzoni
L’Innominato in piazza Duomo
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(XXXI)
(Luigi Dossena) La battaglia di Agnadello, 14 maggio 1509, cambia le sorti di Crema e di gran parte del territorio, anche se non per molto. Le sorti della battaglia arridono al re di Francia Luigi XII, capo della lega di Cambrai, che vede con lui anche papa Giulio II. Il re è sceso in armi fino ai confini di Crema. L'esercito francese si scontra con quello della Serenissima. Alla testa dei francesi c'è il cremasco Gian Giacomo Trivulzio, entrato nelle grazie del re per avergli portato prigioniero Lodovico il Moro, a capo del ducato di Milano, famoso anche per la sua amante diciassettenne, Cecilia Gallerani, nata a Crema che resterà nella storia perché immortalata da Leonardo da Vinci. E' l'imperitura Dama con l'ermellino. Trivulzio riceve l'incarico il 26 marzo 1509. Intanto nel cremasco si mettono sentinelle su tutte le torri. Gian Giacomo Trivulzio è marito di Margherita Colleoni, parente di Bartolomeo Colleoni, il famoso condottiero con castello a Martinengo, ma anche con un palazzo in Crema dove fino a poco tempo fa c'era la sede della Provincia, in via Matteotti.
La battaglia, dunque. Le sorti della vicenda sono seguite da bordo campo (!) dai cronisti dell'epoca che attribuisco ai due eserciti da 20 a 50mila uomini ciascuno. In testa ai veneziani c'era il 67enne conte Nicolò Orsini con accanto Andrea Gritti, provveditore generale e futuro doge di Venezia. Tra le fila dei francesi c'è anche il famosissimo monsieur Jacques de La Palice, che morirà a Pavia nel 1525. Gian Giacomo Trivulzio prima della battaglia compie un sopralluogo dall'Adda al Tormo e schiera l'esercito a Vailate in modo da impedire i rifornimento agli avversari. La battaglia finale si gioca nei territori di Vailate, Agnadello, Cascine Gandini e Torlino. Alle 14 del 14 maggio cominciano gli scontri e i veneziani sembrano prevalere, ma alle 16 arriva un fortunale di inaudita violenza che dura tre ore, rende inoffensiva l'artiglieria veneziana e permette ai francesi di prevalere. Sul campo restano 14.600 soldati di ambo le parti.
Poi viene firmata la pace e il re di Francia viene nella nostra città.
Ma questa è un'altra storia, la prossima storia
(XXXII)
(Luigi Dossena) Ludovico il Moro non si è limitato alla cremasca Cecilia Gallerani, dalla quale ha avuto un figlio nel 1493, ma ha ottenuto le grazie anche di una seconda donna, anche lei cremasca e anche lei ritratta da Leonardo da Vinci nel celebre quadro La belle ferronière, oggi esposto al Louvre. Si tratta di Lucrezia Crivelli, nata a Crema, che era subentrata alla Gallerani. Ma nell'ultima parte del 1400 a Crema si susseguono episodi singolari. Nel 1457 i frati protestano per le loro condizioni e per attirare l'attenzione frate Bortolo sale le scale del palazzo comunale e arriva nella sala del podestà portando in spalla un asino che ha in groppa un sacco di farina. Due anni più tardi gelano tutte le vigne e il 27 maggio cade grandine grossa come uova (vi ricorda qualcosa?). Nel 1470 Crema è colpita da una grande inondazione e il Serio arriva fino a metà via Mazzini. Nello stesso anno nasce qui Vincenzo Civerchio, il più grande pittore cremasco. Infine, nel 1483 da Venezia risalgono il Po, l'Adda e il Serio quattro navi cariche di alimenti e masserizie che attraccano a Porta Ripalta. L'anno successivo si assiste a crollo delle mura federiciane tra Ponte Furio e il ponte levatoio e le pietre ostruiscono la roggia Crema.
Nella seconda metà del XV secolo dal nord arrivano gli ebrei che si stabiliscono nell'odierna via Manzoni (tra piazza Duomo e le quattro vie). Avviano l'attività sei o sette botteghe condotte da ebrei. La via era molto stretta (solo 120 centimetri) e alla sera le porte della strada venivano chiuse a chiave da un custode che riapriva la mattina successiva. In queste botteghe ci sono lavorazioni d'avanguardia per i tempi. Per esempio, in un documento si cita che a Crema, nella tipografia si dà alle stampe un libro 'alla maniera di Guteberg' cioè con i caratteri mobili. Tre ebrei ebbero gran parte nella storia. Uno era Moise da Martinengo, arrivato a Crema e subito sodale con altri due ebrei entrambi di nome Leone ed entrambi banchieri. Moise era il custode delle sostanze di Bartolomeo Colleoni (anche lui di Martinengo, dove oggi c'è ancora il suo castello). Colleoni viene chiamato a Venezia, dove si reca con i tre ebrei e dove il 24 maggio 1458 viene insignito del bastone del comando e fatto capitano generale. Ma alla morte del Colleoni (1475), che non figli maschi, ma solo femmine, i tre ebrei vedono la loro protezione terminare e si vedono costretti a lasciare Crema per Cremona dove, dietro pagamento di 10mila ducati, aprono tre banchi di vendita consorziati tra di loro. In uno di questi nasce il violino, che qualcuno dice aver visto i prodromi in una bottega a Crema, poco prima del trasloco degli ebrei a Cremona.
Ma questa è un'altra storia, la prossima.
(XXXIII)
(Luigi Dossena) Crema si arrende ai francesi, vincitori ad Agnadello, senza combattere. A convincerli alla resa è Socino Benzoni, che ricorda il massacro dell'assalto del Barbarossa. E' il 23 maggio 1509 e poco dopo, il 27 giugno, arriva in città, accolto con tutti gli onori, Luigi XII re di Francia, che resta due giorni a palazzo Benzoni. Durante il suo soggiorno, accompagnato da Socino Benzoni e Alessandro Benvenuti, visita la città e il ghetto ebraico, dove apprezza i libri stampati. Vorrebbe in regalo una preziosa edizione della Commedia di Dante, datata 1478, ma i cremaschi riescono a non consegnargliela, scambiandola con un boccale d'oro tempestato di gemme, un vassoio d'oro e argento e altri libri meno preziosi. Il re nomina governatore di Crema Bernard Ricaud che a sua volta fa eleggere un consiglio con 40 guelfi e 20 ghibellini. Ricaud resta solo fino al 4 settembre, quando viene sostituito da Jean Duras che fa togliere dalla città tutte le insegne e le sculture veneziane. C'è anche spazio per una vendetta del popolo. Qualcuno la notte del 23 aprile 1510 penetra in comune e dà fuoco ai libri pubblici, dove sono scritti i debiti pendenti, che diventano così inesigibili. L'anno successivo Socino Benzoni viene catturato dagli uomini della Serenissima e portato prigioniero a Padova, dove è impiccato sulla pubblica piazza per tradimento, condanna emessa da Andrea Gritti, sconfitto ad Agnadello, ma in seguito doge della Serenissima. C'è spazio anche per una curiosità. Un altro grande meteorite cade dal cielo a Bagnolo e uno sciame di piccoli meteoriti colpiscono Moscazzano, Montodine, Casaletto Ceredano e Abbadia Cerreto. Il meteorite è cosi grande che per trasportarlo deve essere messo su un carro. Sarà portato a Milano e poi a Parigi, al cospetto re. Il meteorite sarà fuso e col metallo saranno ricavate spade e coltelli praticamente indistruttibili.
Il 4 ottobre 1511 l'irrequieto papa Giulio II, insofferente del potere del re di Francia, fonda la Lega Santa, alleandosi con la Serenissima. Prima mossa a Crema del console Duras è quella di buttare fuori città tutti gli uomini da 15 a 60 anni. Ma l'assedio al borgo è imminente. Il 9 agosto 1512 Renzo Orsini dell'Anguillara, detto da Ceri, capitano della fanteria veneziana, arriva sotto le mura di Crema, trova gli espulsi che ingaggia per la ormai prossima battaglia, ingrossando a dismisura il numero dei suoi soldati. Comincia la battaglia di Ombriano che avrà un epilogo inatteso. Il comandante della guarnigione francese si accorda con Renzo da Ceri e, per denaro, tradisce e apre le porte della città. E' il 9 settembre 1512, quando Crema torna sotto la Serenissima, anche se la battaglia sarà ancora lunga e terminerà solo il 6 agosto 1514.
Un'ultima curiosità. In quel periodo imperversava Lucrezia Borgia, figlia del Papa Alessandro VI, nota come avvelenatrice dei suoi nemici. Ebbene, il confessore di Lucrezia era il cremasco frate Giovanni Antonio Meli, insegnante alla Sorbona di Parigi con una cattedra sulla pubblica provvigione e contro l'usura.
Ma questa è un'altra storia, la prossima.
(XXXIV)
(Luigi Dossena) Siamo nel 1512 quando Guelfi e Ghibellini si affrontano in città. Il governatore francese Duras li espelle e loro si organizzano militarmente a Montodine, Ombriano e Campagnola per preparare il rientro. A S. Bernardino costruiscono due ponti, sul Serio. La Serenissima invia Renzo da Ceri per dirigere le operazioni militari. In città ci sono due comandanti: Benedetto Crivelli e Gerolamo da Napoii. Il primo si sbarazza del secondo, facendolo uccidere e tratta segretamente la resa prima con Renzo da Ceri e poi con i milanesi. Renzo da Ceri si dimostra più forte e prende possesso di Crema il 9 settembre 1512. Ma la battaglia di Ombriano è solo agli inizi. A Bagnolo, in quello stesso giorno Santo Robatto, per i milanesi, schiera 10mila soldati svizzeri. Gli eserciti si fermano e partono trattative diplomatiche. La Serenissima vuole la Gera d'Adda, Brescia e Cremona e tratta con il re di Francia Luigi XII, visto che il campo della Chiesa era stato lasciato libero dalla morte di Giulio II (febbraio 1513). Luigi XII non è del parere di cedere e passa le Alpi con il suo esercito, ma non arriva dalle nostre parti perché viene sconfitto a Novara e ritorna in Francia. Ma sullo scenario della guerra si affaccia anche la Spagna, che guadagna le terre da poco conquistate dalla Serenissima, arrivando a minacciare Crema.
Nel 1514 Prospero Colonna raduna sotto le mura di Crema, soldati spagnoli, sforzeschi e svizzeri. Lui si accampa Offanengo, il comandante Silvio Sivello a Ombriano, Cesare Ferramosca a Pianengo. Renzo da Ceri trasforma la basilica di S. Maria, da poco finita, in una inespugnabile fortezza. La città accoglie 36mila tra persone e soldati, troppe per l'epoca e scoppia una terribile epidemia. La gente, spaventata, invoca S. Rocco ed erige una chiesa dove oggi c'è l'antico ingresso del teatro, ex banca, ora chiuso perché pericolante, in via Verdi. Alla fine le vittime furono ben 16mila.
La città resiste agli assalti e Renzo da Ceri, per pagare i soldati, requisisce i tesori del Monte di Pietà e della basilica. Inoltre fa battere una moneta propria che chiama Petacchia. Il 25 agosto 1514 ecco la mossa vincente. Renzo da Ceri divide in gruppi le truppe e fa una sortita a sorpresa. Il capitano Andrea Matria è ai Mosi, Giacomo Micinello a Capergnanica, Renzo da Ceri e il podestà Contarini a Porta Ombriano. La mossa riesce e i soldati cremaschi prendono alle spalle gli avversari che sono immersi nel sonno, rovesciando le sorte della battaglia e vincendo definitivamente.
E Crema torna sotto l'egida della Serenissima, aprendo un lungo periodo di pace.
Ma questa è un'altra storia, la prossima.
(XXXV)
(Luigi Dossena) Siamo nel 1520 quando in città entra il nuovo podestà, Andrea Foscolo il quale, per festeggiate, fa mettere mastelli pieni di vino Malvasia in piazza del Duomo. E' l'anno nel quale si costruisce quella che oggi è piazza Garibaldi che allora venne chiamata piazza del Castello. Due anni prima Crema aveva pianto la morte di due illustri cittadini: Bartolino da Terni e Gian Giacomo Trivulzio.
Le alleanze militari e i giochi di potere continuavano incessanti e la storia passa anche dalle nostre parti. A Offanengo, in casa di Santo Robatto, il 5 ottobre 1524, si tiene un'importante Dieta, un consiglio di guerra al quale partecipano il duca di Borbone e il marchese di Pescara rappresentanti di Carlo V, vicerè di Spagna, Carlo di Lannoy, Francesco Sforza II, duca di Milano, il capitano generale della Serenissima e il governatore di Milano Girolamo Morone. Nello stesso anno il cremasco Nicolò Amanio diventa podestà di Milano.
E' comunque tempo di pace e i cremaschi decidono di fare qualcosa di bello per Crema. Il 9 luglio il consiglio cittadino presieduto dal podestà veneziano Giovanni Moro, decide la costruzione del nuovo palazzo comunale facendo demolire il vecchio. Viene costituita una commissione di quattro persone: Pietro da Terno, Carlo Zurla, Stefano Barbetta e Gioacchino De Marchi. L'anno successivo, il 20 aprile con una solenne processione viene portata la prima pietra del nuovo municipio, un quadrato di marmo che viene posto vicino a una statua della giustizia e sistemato da quattro sacerdoti. L'inizio della costruzione viene certificato dal notaio Giuliano Bravo, seguito dai discorsi di Giacomo Filippo De Ferraris, vicario dei vescovi e del conte Guido Benzone, provveditore del cremasco. Il nome dell'architetto che firmò il progetto non è certo e si fanno quattro ipotesi: Sermone Vimercati con la moglie Ippolita Sanseverino, Pietro da Terno e Vincenzo Civerchio, unico tra i quattro ad avere il titolo di architetto. Per finanziare la costruzione venne organizzata una cena con ben 1438 portate.
Ma questa è un'altra storia, la prossima.
(XXXVI)
(Luigi Dossena) Invitati 80, tra autorità veneziane, milanesi e spagnole e, naturalmente, i cremaschi più in vista e patrizi. A tutti questi si chiedeva di dare un contributo per la costruzione del nuovo municipio. Quello vecchio venne abbattuto perché Venezia volle un comune all'altezza della città e, per trovare i soldi necessari, ecco inventare un pranzo con sponsorizzazione. Fu un convegno da record mondiale, probabilmente ancora oggi imbattuto perché in due giorni e due notti vennero servite 1438 portate. Era l'11 febbraio 1526, ultima domenica di carnevale. A inventare la spettacolare kermesse fu il governatore Baglioni Malatesta e la fantasmagorica cena venne allestita nei palazzi Vimercati e Santangiolino. Quest'ultimo, sede della famiglia Griffoni Sant'Angelo sorgeva dietro il municipio, nell'odierna via XX Settembre, allora Contrada Umbriano. Qui si cominciò il pranzo, contornato di danze e musica. Al tramonto gli 80 convitati si spostarono nel palazzo di Sermone Vimercati, oggi in via Benzoni. Tra una portata e l'altra una compagnia recitò una commedia che tirò avanti fino alle due di notte. Tra gli invitati c'erano il podestà, il camerlengo, Simone della Rovere, Giovanni Borromeo, Ludovica Landriano contessa di Pandino, i capitani spagnoli e molti altri. Le strade centrali della città vennero dotate di bracieri e rischiarate per due notti consecutive. Esiste l'elenco delle 1438 portate che non stiamo a proporvi. Si sappia che furono serviti 70 primi e che non fu servito alcun piatto della tradizione cremasca (tortelli, bertolina, salva, castagnaccio, spongarda). Non è arrivato fino a noi quanti soldi sborsarono gli 80 convitati, ma di certo il loro contributo fu fondamentale per proseguire nella costruzione del palazzo comunale, progettato nel 1522, deliberato nel 1524, cominciato il 20 aprile 1525 e terminato nel 1540.
In quegli anni non c'era solo la costruzione del palazzo comunale, ma il grande maestro Pietro da Cemmo operava in città e, dopo aver visto a Milano il cenacolo di Leonardo da Vinci, dipinse una spettacolare Ultima cena e un grande Golgota nella sala a lui oggi dedicata al S. Agostino. La sua opera fu la prima dipinta dopo l'ultima cena di Leonardo.
Ma questa è un'altra storia, la prossima.
(XXXVII)
(Luigi Dossena) Facciamo un passo indietro e andiamo nel 1468. Anno importante perché sul campanile del Duomo viene installato il primo orologio astronomico della provincia, tre anni prima di quello di Cremona, mentre sulla torre pretoria sarà posizionata una meridiana. Nel 1540 viene inaugurato il nuovo palazzo comunale e la piazza del Duomo appare finita, ma molto diversa dall'attuale. Per esempio, c'era la cortazza, oggi parcheggio dei mezzi del comune, come allora, solo che in quell'epoca si parcheggiavano i cavalli; nella piazza trovava posto un cimitero. Le persone più in vista venivano seppellite nel Duomo, ma dopo alcuni anni estumulate e portate in questo campo santo che sorgeva a pochi passi dalla chiesa. Quando si effettuava questa operazione, il Duomo restava aperto per tre giorni e tre notti e profumato per almeno dieci.
Nel XVI secolo una famiglia svettò su tutte, quella degli Amanio. Nicolò Amanio fu podestà di Milano, a lui dobbiamo gli affreschi della sala al S.Agostino dipinta da Pietro da Cemmo, pittore miniaturista ammesso alla corte leonardesca che vide nascere il Cenacolo e per primo lo replicò a Crema nella sala che oggi porta il suo nome.
Il fratello Alessandro divenne senatore, nominato dal duca di Milano Francesco II Sforza; Valerio Amanio fu segretario del duca di Parma e Giampaolo Amanio abbracciò la carriera ecclesiastica. Divenne vescovo di Anglona e Tursi (Potenza), arrivò alla corte pontificia, fu segretario del Cardinale Carlo Borromeo, poi diventato santo. A Giampaolo Amanio, eccesiastico mandato a partecipare al Concilio di Trento, dobbiamo la diocesi di Crema. Sarebbe stato lui il primo vescovo, ma la sorte gli impedì di rivestire questa carica. Quando tutto era già stato deciso in quella direzione, Giampaolo Amanio morì. La storia narra che Michele Benvenuti e Gian Francesco Zurla si recarono a Venezia per chiedere la diocesi e che i veneziani intercedettero a Roma per questo fine, incontrando la fiera opposizione di Cremona e Piacenza. Amanio tornò a Crema, rinunciando alle sua diocesi, convinto di poter diventare il primo vescovo della nuova diocesi di Crema. Andò a Roma per caldeggiare questa decisione, ma là venne colto da gravissima malattia e morì il 3 novembre 1579. Tuttavia, gli sforzi congiunti di Venezia e Crema vinsero le resistenze e La città venne elevata a diocesi l'anno successivo.
Ma questa è un'altra storia, la prossima.
(XXXVII)
(Luigi Dossena) Fatti importati nella seconda metà del XVI secolo. Siamo nel 1565 quando il podestà Giovan Battista Quirino, con una delibera comunale, dà il via al servizio postale da Crema a Brescia per trasporto di valori e lettere. Il servizio si effettua il giovedì. Solo nel 1590 ne sarà ammesso un secondo con Cremona e poi con Venezia.
In quegli anni Crema diventa famosa per una fiera che sorgeva nell'odierna via Cremona, a fianco del Serio. E' una fiera importante alla quale partecipano ambulanti che provengono da tutto il nord Italia e dall'estero. Si chiamava Fiera di S. Michele e non veniva richiesta alcuna tassa di partecipazione. Era in programma per otto giorni da fine settembre ai primi di ottobre. Restò in calendario fino al 28 settembre 1697, quando un incendio la distrusse.
Ma il periodo è ricordato come l'istituzione della diocesi di Crema. La richiesta ha origini antiche e affonda le sue radici nel 1450, ma viene respinta. Stessa sorte nel 1472, nel 1497, nel 1545 e nel 1563. Poi qualcosa cambia nel 1579, quando cremaschi e veneziani arrivano a Roma e convincono il papa Gregorio XIII a superare l'ostilità di Cremona e Piacenza. Il primo vescovo avrebbe dovuto essere Giampaolo Amanio, ma morì prima della consacrazione. Nel 1580, l'11 aprile, Gregorio XIII crea la diocesi di Crema dichiarandola suffraganea del metropolita di Milano. Vescovo di Crema viene nominato, il 20 novembre 1580, Girolamo Diedo, primicerio di Padova e nipote del patriarca di Venezia. Il vescovo fa il suo ingresso in città il 19 maggio 1581, visita palazzo Donati e casa Grossi, va nella chiesa di S. Agostino e qui tiene due orazioni, passa in cattedrale dove una terza orazione è tenuta da Alemanio Fino e poi viene assalito dalla febbre quartana. Resta quattro mesi a Crema, sempre malato e senza esercitare il suo ruolo di vescovo e poi torna a Venezia. Capendo di non essere in grado di ritornate a Crema, il vescovo rinuncia a favore del nipote Giacomo Diedo, con il beneplacito del Papa. E' il 28 maggio 1584.
Ma questa è un'altra storia, la prossima.
(XXXIX)
(Luigi Dossena) Arriva la terribile inquisizione che è duplice, una religiosa e l'altra civile. Con a farne le spese il popolo. Crema non è esente dalla purga, che comincia con il tramonto del XVI secolo. Prima però un paio di avvenimenti importanti. Nel 1588 il podestà delibera la nascita di un corpo di vigilanza in città: troppi i furti e le aggressioni. Ma la vigilanza non funziona bene, tanto che nel 1601 il podestà Andrea Mula promette la grazia a quei briganti che ammazzano... altri briganti. Nel 1595, dopo sette anni di praticantato a Venezia, anche Crema ha il suo collegio di avvocati. Alla fine del XVI secolo Crema conta 12mila abitanti.
L'inquisizione, dunque. Siamo nel 1611 quando tre tessitori radunano in piazza Duomo i colleghi per protestare contro un balzello imposto da 160 anni. Il risultato è che i tre vengono processati dall'inquisitore Lunardo Mocenigo che li condanna a morte e li fa impiccare davanti al comune. L'inquisizione cattolica viene affidata ai frati domenicani e furono 63 i processi istruiti nei confronti di chi aveva peccato contro la religione. La prigione per queste persone era presso il convento di S. Domenico e si chiamava Malefizio. Tre gli inquisitori civili, detti savi. Venivano giudicati chi era considerato reo di bestemmiare, leggere libri proibiti, eresia e stregoneria (quest'ultima ha contato 26 casi). Tra tutti i processi, spiccano quelli nei confronti di due donne, entrambe di nome Giovanna. La prima, Giovanna di Zibello Parmense, 45 anni, ma residente in città, viene giudicata per stregoneria e condannata il 27 maggio 1603 a essere appesa a una colonna in piazza Duomo per un'ora e bandita dalla diocesi di Crema per sei anni. Infine, tutti i venerdì per un anno si dovrà nutrire solo di pane e acqua.
Ben più triste la storia di Giovanna da Credera, giudicata dall'inquisizione civile. La donna era innamorata di un soldato. Le avevano fatto credere che lui era morto e quindi si era rassegnata a sposare un'altra persona, quando un bel giorno, il suo soldato aveva fatto ritorno a casa. La donna aveva ripreso la relazione e un giorno aveva architettato di uccidere il marito. Lo aveva spinto nel pozzo, annegandolo. Scoperta, era stata portata davanti all'inquisitore che l'aveva condannata alla decapitazione sulla pubblica piazza, condanna eseguita in piazza S. Benedetto (oggi piazza Garibaldi).
Ma nel XVII secolo Crema diventa famosa per aver dato i natali a Paola Benzoni, madre di Francesco Bernardino Visconti, il famoso Innominato dei Promessi Sposi di Manzoni. Ma questa è un'altra storia, la prossima.
(XL)
(Luigi Dossena) Francesco Bernardino Visconti, chi era costui e perché parliamo di lui? Si tratta del famoso Innominato, protagonista del romanzo I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Il Visconti è nato a Brignano Gera d'Adda da mamma di Crema e papà cittadino onorario della nostra città. A Crema ha vissuto e compiuto anche i primi misfatti, ha parenti importanti che riuscirono a salvarlo dalle patrie galere.
Seguiteci.
Tutto comincia nel 1570, quando la città di Crema concede la cittadinanza al padre dell'Innominato, Giovan Battista Visconti, in quanto il nobile sposa, in quell'anno, Paola Benzoni, nobildonna cittadina con abitazione in palazzo Benzoni. La cittadinanza sarà estesa anche a tutti suoi discendenti. I due si trasferiscono per qualche tempo a Brignano, dove nel 1579 nasce Francesco Bernardino. La famiglia torna a trasferirsi a Crema, in palazzo Benzoni ma qualche anno più tardi, nel 1582, Giovan Battista muore, lasciando vedova Paola e orfani i suoi sei figli con parecchi debiti, visto che era un libertino e dedito al gioco. Passa qualche anno e nel 1590 Paola vorrebbe convolare a nozze con Cottino Cotta, nobile della Valcuvia. Il matrimonio non è ben visto dai parenti della donna e alla vigilia delle nozze Paola viene rapita da Francesco Bernardino, undicenne e dal fratello maggiore, Galeazzo Maria, 15 anni, da Sagramoro Visconti, suo nipote e Benedetto Cagnola. Il matrimonio salta ma l'impresa dei quattro non viene punita, in quanto i potenti parenti dei Visconti, tra i quali due alti prelati del Duomo di Crema, Gian Pietro Benzoni, parroco del Duomo e Leonardo Benzoni che diventerà vescovo di Volturara Appula, fanno passare il rapimento come una ragazzata.
Tuttavia la lezione non serve a Francesco Bernardino che, tre anni più tardi, con 27 Bravi assalta la casa di Schiavino, a Bagnolo, devastandola e uccidendo tutti i polli del pollaio e commettendo altri reati. Stavolta l'impresa viene giudicata dal consiglio dei Dieci e Francesco Bernardino viene bandito per tre anni da Crema.
L'innominato trascorre una vita scellerata, capo di 1400 Bravi che operano misfatti nel territorio de Fosso Bergamasco, fino al 1619 quando a 40 anni si rende conto di non poter più farla franca e allora va a Treviglio e si consegna al cardinale Federico Borromeo, convertendosi. La storia dice che l'Innominato passa da un convento all'altro nel cremasco, senza più lasciare questa terra e senza più commettere misfatti. Muore qui a 68 anni nel 1647.
Manzoni trae ispirazione per i Promessi Sposi proprio dai fatti di Crema.
Ma questa è un'altra storia, la prossima.