
Crema, 30 aprile 2025
Via Sergio Ramelli, una strada per ricordare lo studente ucciso da estremisti di sinistra cinquant'anni fa. Lo ha chiesto la consigliera Ilaria Chiodo al consiglio comunale.
Questa la storia presentata dalla Chiodo.
Il 29 aprile di cinquant’anni fa moriva assassinato Sergio Ramelli, uno studente milanese di 18 anni, che in un tema scolastico aveva espresso posizioni di condanna delle Brigate Rosse, aggiungendovi una nota di baisimo verso il mondo politico per il mancato cordoglio istituzionale di fronte alla morte di due militanti del MSI, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, uccisi durante l’assalto alla sede del MSI di Padova avvenuto l’anno precedente (17 giugno 1974).
Il tema, dopo essere stato sottratto al professore, fu affisso in una bacheca scolastica, tacciato di fascismo e usato come elemento accusatorio.
Indagini e testimonianze confermeranno negli anni a seguire che dopo il fatto si scatenò ai suoi danni un clima di costante provocazione, perpetrato da persone appartenenti all’estrema sinistra, in maggioranza di Avanguardia Operaia.
Nel gennaio 1975 Sergio fu più volte prelevato a forza dall’aula in cui seguiva le lezioni da alcuni studenti che lo minacciarono; nello stesso periodo fu aggredito da un’ottantina di ragazzi, anche più grandi e non frequentanti il “Molinari” (scuola frequentata dal giovane) che lo immobilizzarono e fotografarono. Il contesto di esasperazione fu confermato in seguito dall’insegnante di lettere di Ramelli che, criticato e intimidito per essersi opposto alle violenze perpetrate contro il giovane, ottenne il trasferimento in un’altra sezione. La preside, dopo aver negato un consiglio dei docenti per discutere delle angherie subite dal ragazzo, concedette l’aula magna per lo svolgimento di un “processo” sommario e informale tenuto dagli studenti con la partecipazione dei professori (tra i quali una docente militante di Avanguardia Operaia): Ramelli fu “condannato” a ritirarsi dall’istituto in quanto «picchiatore nero», colpevole di violenze e furti ai danni degli studenti di sinistra, reati «mai specificati» e dei quali «non vi è alcuna prova» secondo la ricostruzione dei giudici istruttori. Anche a detta dell’insegnante di lettere, l’alunno era estraneo a tutte le accuse mosse contro di lui dal movimento politico scolastico.
A fine gennaio il fratello Luigi, forse scambiato per Sergio, fu assalito.
Il 3 febbraio Ramelli e il padre, recatisi a scuola per espletare le pratiche necessarie al trasferimento in un istituto privato, vennero aggrediti da un gruppo di studenti e il giovane svenne; anche i docenti che li scortavano furono malmenati.
Dopo il cambio di scuola, lo studente fu oggetto di scritte e telefonate intimidatorie.
L’8 febbraio nel cortile del “Molinari” fu fatta esplodere l’auto del professore di religione che aveva provato a tutelare Ramelli il giorno in cui fu immobilizzato: lo scoppio conseguente causò 18 feriti.
Il 9 marzo un bar nel quale lo studente si trovava con il fratello fu accerchiato da una ventina di giovani di estrema sinistra: i due si salvarono dal linciaggio grazie all’intervento di un amico giunto in auto.
Secondo l’ordinanza dei giudici, gli episodi avvenuti a scuola si svolsero «in un clima di omertà generale e di assoluta inerzia delle forze di polizia».
Il 13 marzo 1975, Ramelli stava ritornando a casa, in via Amadeo a Milano; parcheggiato il suo motorino poco distante, in via Paladini, si incamminò verso casa. All'altezza del civico 15 di via Paladini, fu assalito da un gruppo di extraparlamentari comunisti di Avanguardia operaia, in diversi studenti di medicina, armati di chiavi inglesi, e con queste colpito più volte al capo; a seguito dei colpi, Ramelli perse i sensi e fu lasciato esangue al suolo.
Un'ambulanza lo portò all'ospedale Maggiore, precisamente all'ex padiglione Beretta, specializzato in neurochirurgia, dove il ragazzo fu sottoposto a un intervento chirurgico della durata di circa cinque ore, nel tentativo di ridurre i danni causati dai colpi inferti alla calotta cranica. Il decorso post-operatorio fu caratterizzato da periodi di coma alternati ad altri di lucidità; le complicazioni cerebrali indotte dall'aggressione lasciavano i sanitari dubbiosi sul recupero delle piene funzionalità fisiche.
Il giovane, a causa dei traumi riportati, morì il 29 aprile, oltre un mese e mezzo dopo l’aggressione. I responsabili furono identificati dieci anni dopo l'accaduto e, dopo un'iniziale condanna per omicidio preterintenzionale in primo grado, furono riconosciuti colpevoli di omicidio volontario al termine dei tre gradi di giudizio del processo, durato dal 1987 al 1990.
I funerali ebbero luogo nella chiesa dei Santi Nereo e Achilleo: il feretro giunse in chiesa quasi di soppiatto poiché le autorità locali avevano vietato il corteo funebre e gli estremisti di sinistra avevano minacciato di usare chiavi inglesi contro eventuali partecipanti. Il presidente della Repubblica Giovanni Leone inviò una corona di fiori e alle esequie.