
Cremasco, 03 dicembre 2023
I Domenica di Avvento anno B
La Parola: Is 63,16-17.19; 64,2-7 Sal 79 1Cor 1,3-9 Mc 13,33-37
Dal Vangelo secondo Marco Mc 13,33-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Parola del Signore.
(Don Natale Grassi Scalvini) E fu sera, e fu mattino, ultimo giorno. Per 356 abitanti della Val di Scalve, sulla bergamasca dopo Clusone, la mattina del 1° dicembre del 1923, esattamente 100 anni fa, è stato proprio l’ultimo mattino. Alle 7,15 di quel brutto giorno la diga del Gleno è crollata riversando in valle 6 milioni di metri cubi di acqua, detriti e fango causando un disastro immane.
Qui però non c’è niente che riguardi Dio o l’attesa di quell’ultimo giorno per cui dobbiamo vegliare. Si è trattato, come è stato riconosciuto dalle indagini e dal processo, di una colpevole negligenza umana, sia per il progetto, cambiato in corso d’opera e ancor di più per i materiali scadenti utilizzati per la costruzione della diga, ultimata solo pochi mesi prima e già riempita anche senza alcun collaudo. Inoltre, penso che accostare alle parole di Gesù fatti tremendi come questo non deve subito far pensare alla terrificante possibilità che tutto finisca davvero all’improvviso così da vivere in modo pauroso e improduttivo il tempo che ci è concesso. Piuttosto credo sia giusto preoccuparci perché il richiamo di Gesù a vegliare possa aiutare noi e tutti gli uomini a vivere con piena consapevolezza delle nostre responsabilità e di quanto in realtà il Signore si fidi di noi, affidandoci tutto il creato e le cose di questo mondo, lasciandoci pienamente liberi di usarne bene o male, con criterio o con superficialità, in modo egoistico oppure in modo da essere davvero come il portiere della parabola impegnato a controllare che tutto vada per il meglio.
Come tutte le parabole infatti il riferimento così personale al portiere si riferisce in realtà a ciascuno di noi. Quindi non dobbiamo assolutamente pensare che Gesù parli di qualcun altro, magari dei responsabili del bene pubblico o delle nazioni e neanche di quanti son chiamati ad avere nella Chiesa il compito di maestri e pastori. Lui vuole che tutti noi viviamo con la chiara sensazione di essere chiamati a custodire i suoi doni, sia quelli materiali, come anche quelli spirituali e quindi anche le persone con cui entriamo in contatto in un modo o in un altro. In un mondo in cui sembra che ciascuno debba pensare solo ai propri affari e al proprio benessere, giungendo anche a divisioni e incomprensioni tali da scatenare atti di terrorismo e guerre, dobbiamo sentirci un po’ come il profeta Isaia, che invoca Dio perché venga a dare un senso e un valore diverso a tutte le opere degli uomini. Non dobbiamo però pregarlo con la convinzione che lui possa risolvere tutto con la bacchetta magica. Noi tutti siamo chiamati ad impegnarci in una attesa vigile, costruttiva e responsabile in modo da preparare la sua venuta tra noi, o meglio il suo ritorno in mezzo al suo popolo, non con il timore di essere trovati distratti o pigri ma piuttosto ben felici di incontrare colui che ha tanta fiducia in noi e che sa quanto bene possiamo fare a tutti i nostri fratelli. Lo scopo del nuovo tempo di Avvento che iniziamo con la Messa di oggi non è quello di prepararci al periodo più melenso e stucchevole dell’anno, pronti a gioire delle semplici gioie del Natale, con tante feste, momenti di allegria e serenità vissuti in famiglia. Questo deve essere piuttosto il contorno, bello e gradevole di questi giorni, ma anche il richiamo forte e pressante alla serietà e alla gravità del momento presente e delle difficoltà che tanti fratelli, più o meno lontani, subiscono senza loro colpa. Concretamente non potremo certo cambiare di molto la situazione disastrata di certi paesi in guerra o toccati da calamità naturali, ma tutto quanto possiamo fare per alleviare il peso del male che ancora si fa sentire per tanti, anche solo partecipando sinceramente e di cuore alle loro difficoltà con un ricordo quotidiano nella preghiera e nella invocazione di aiuto a Dio, non dobbiamo farlo mancare. Solo così saremo in grado di attendere il Signore in sincerità e gioia convinti di essere al nostro posto e di fare quanto semplicemente spetta a ciascuno di noi per costruire un mondo sempre migliore.