Cremasco, 21 maggio 2023

7 Domenica di Pasqua anno A Ascensione

 

La Parola: ​ At 1,1-11  Sal 46  Ef 1,17-23 Mt 28,16-20:

 

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Parola del Signore.

 

(Don Natale Grassi Scalvini) Nella pienezza della gioia pasquale la solennità dell’Ascensione del Signore presenta un aspetto particolare. Sembra infatti abbastanza strano che si faccia festa per il momento in cui Gesù lascia definitivamente la sua esperienza terrena suscitando nei suoi apostoli e quindi in tutti i suoi seguaci di tutti i tempi, il timore, se non addirittura la paura, che da adesso in poi il Signore ci lasci soli, abbandonati a noi stessi e al nostro destino.

Possono capire e purtroppo sperimentare in pieno questa situazione proprio i nostri fratelli dell’Emilia Romagna, provati in questi giorni da una situazione di sofferenza immane. Per quanto sia partita in tempi brevissimi la macchina dei soccorsi, possiamo immaginare come in realtà non tutti possono ricevere subito gli aiuti e il sostegno di cui hanno bisogno, per cui la paura e direi quasi il terrore di sentirsi abbandonati da Dio e dagli uomini credo sia un sentimento diffuso e comprensibile. Come non tocca a noi cercare adesso le responsabilità, anche umane, di fronte a certi disastri, così non possiamo neanche pensare di risolvere qui e adesso le problematiche gigantesche che si sono presentate in quei territori, ma come minimo possiamo farci carico, nella preghiera, del disagio umano e cristiano per le sofferenze di tanti fratelli. La certezza che il Signore Gesù non ci ha lasciati completamente soli, ascendendo al cielo e che ci accompagna invece ancora attraverso le vicissitudini della vita quotidiana, almeno per infonderci coraggio e darci speranza, deve essere la parola che oggi non solo ci ripetiamo tra di noi per mostrare che abbiamo capito il vero significato della Ascensione, ma si deve tramutare, per quanto ci è possibile, in un sostegno morale e concreto con tutte le persone provate e spaventate dagli eventi catastrofici.

Come già abbiamo saputo non solo la complessa operazione degli aiuti istituzionali si è mossa per tempo, ma tanti volontari hanno messo a disposizione il loro tempo e la loro passione non solo per alleviare i disagi concreti per la perdita di tanti beni, ma sopratutto per dare la speranza a tutti di non essere stati abbandonati, consapevoli che la solidarietà umana rappresenta un modo egregio per dimostrare il nostro amore ai fratelli e quindi anche la vicinanza di Dio. 

Più volte il Signore Gesù ha parlato del suo ritorno al cielo come l’occasione, anzi la condizione necessaria, perché il Padre effonda su tutti il dono dello Spirito. Proprio per questo rafforziamo la nostra preghiera perché si rinnovi questo dono per tutti i credenti e ci aiuti a testimoniare, ai fratelli nel bisogno, la bontà di Dio attraverso le nostre opere concrete. Lo Spirito di Dio ci viene donato non come contentino finale perché siamo dei bravi fedeli e adoratori del Padre, ma come sostegno e motivo di impegno per la nostra vita ordinaria affinché possiamo mostrare nei fatti l’amore diffuso dal Padre nei nostri cuori, pronti ad adorare il Padre in Spirito e verità: lo Spirito nei nostri cuori e la verità nelle nostre opere, coerenti con la fede che diciamo di avere. Se già è sufficiente la compassione e la solidarietà umana per sentirci chiamati a dare una mano a chi ha bisogno, per noi credenti la speranza della vita eterna deve essere motivo ancor più forte per sentirci impegnati a fare tutto quanto è nelle nostre possibilità per sostenere chi è nella sofferenza, con la stessa consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Non si tratta infatti solo di condividere un po’ di beni materiali per soccorrere chi ha perso tutto, ma anche di dare un senso e un valore più duraturo alle nostre opere terrene, lo strumento concreto con cui costruire un po’ di Regno di Dio su questa terra, condividendo gioie e speranze di tutti gli uomini, in attesa della pienezza definitiva della gioia pasquale nel compimento del destino finale di gloria nel regno dei cieli.


Nella foto, gli uomini nell'alluvione e don Natale Grassi Scalvimi