Crema News - "Io e la terapia intensiva"

Vailate, 27 aprile 2020


Li chiamano gli angeli della terapia intensiva. Sono i medici e gli infermieri che curano ed assistono i pazienti Covid-19 più gravi. Fra questi angeli c’è anche il vailatese Andrea Mollica, 47enne infermiere professionale che racconta la sua esperienza dalla Svizzera, dove lavora dal 2019.

“Poiché lavoro da alcuni mesi in una casa di cura per anziani del Canton Ticino – racconta Mollica -, essendoci bisogno di infermieri con esperienza nel settore, la proprietà mi ha chiesto la disponibilità a spostarmi, da fine marzo, nella terapia intensiva di una clinica privata di Lugano, adibita alla cura di pazienti affetti da coronavirus, tutti ticinesi. Ho accettato. Sono abituato a lavorare nelle terapie intensive, faccio l’infermiere da anni (anche con un’esperienza di circa un anno al Royal Hospital di Londra) ma non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte a un virus del genere che non solo attacca le vie respiratorie ma anche altri organi, creando dei problemi a livello neurologico e dei problemi di coagulazione del sangue. I pazienti che arrivano da noi, oltre che essere in condizioni gravissime, sono logicamente spaventati e per di più si trovano isolati dal mondo, senza un familiare accanto: questa è la cosa peggiore. Oltre a prestare loro le cure del caso, noi tentiamo in qualche modo di tranquillizzarli. Anche soltanto un piccolo gesto, una parola, sono di grande conforto in momenti del genere”.

I turni sono lunghi, ancor più pesanti se si considera che sotto gli indispensabili dispositivi di protezione individuale gli operatori fanno fatica persino a respirare ma la cosa peggiore per loro è un’altra. “Questa malattia – prosegue Mollica - costringe anche noi operatori sanitari alla solitudine. I turni sono massacranti ma li si sopporta. Molto più difficile è lo stare lontano dagli affetti. Io non vedo i miei tre figli (due maschi e una femmina) che vivono a Vailate dal 23 febbraio scorso. Non mi è mai successo di stare lontano da loro per un periodo di tempo così lungo. Sono autorizzato ad andare a trovarli ma non lo faccio, perché potrei essere potenzialmente contagioso. Non ho fatto il tampone ma, come i miei colleghi, mi considero come tale e quindi mi tengo alla larga da ogni contatto. Ripeto, non è facile, anche se l’ospedale offre i supporti sia logistici, sia psicologico del caso”.

In Svizzera però le cose sembrano andare meglio adesso. “Abbiamo chiuso – conclude Mollica - uno dei reparti Covid, perché ci sono meno ricoveri. Per quanto riguarda la situazione fuori dall’ospedale, scuole bar e ristoranti sono chiusi ma il lockdown è meno ferreo rispetto all’Italia”. 


Nella foto, Andrea Mollica