Cremasco, 11 febbraio 2024
VI ord B
La Parola: Lv 13,1-2.45-46 Sal 31 1Cor 10,31-11,1 Mc 1,40-45
Dal Vangelo secondo MarcoMc 1,40-45
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Parola del Signore.
(Don Natale Grassi Scalvini) Non ho seguito il festival della musica italiana di Sanremo se non per le notizie, abbondanti per la verità, riportate quotidianamente e a tutte le ore dai nostri telegiornali. Secondo questi infatti, l’Italia si è fermata in ossequio al rito collettivo del festival. Purtroppo però dobbiamo registrare anche questa settimana un altro femminicidio, come purtroppo sta avvenendo troppo spesso. Quindi mi vien da pensare che non basta neanche il festival per fermare questo criminale comportamento di alcuni uomini verso le donne che dicono di amare. Ancora una volta devo invece dire che l’insegnamento e l’esempio più forte e giusto ci viene dato da Gesù e proprio nel suo stile applicato una volta ancora nel fatto raccontato oggi nel vangelo, simile a tanti altri racconti di guarigione.
L’evangelista Marco annota infatti che Gesù opera la guarigione purificatrice del lebbroso perché mosso da un sentimento di compassione e quindi di affetto profondo verso quest’uomo piagato nel corpo e nella sua stessa identità di essere umano, deturpato e invalidato da una delle malattie più temute fino a pochi decenni fa.
Dopo aver seguito i racconti del Vangelo di Marco in queste prime domeniche dell’anno anche noi, come il lebbroso, sappiamo bene che Gesù può compiere guarigioni miracolose: basta un cenno condiscendente della sua volontà. Ancora di più allora ci stupisce quello che succede subito dopo la guarigione quando invece di chiedere un grazie o meglio ancora di invitarlo a mettersi alla sua sequela proprio in segno di gratitudine per la guarigione ottenuta, Gesù allontana, anzi proprio scaccia quest’uomo ormai rimesso nella sua piena dignità di persona, dando così a noi tutti una indicazione preziosa: la compassione e l’affetto verso il poveretto non diventano un legame possessivo.
Come dimostrato da tanti fatti della sua vita, Gesù sa essere amorevole e attento all’altro ma ugualmente pienamente disponibile a lasciarlo andare, rispettando così sempre la libertà di ogni uomo e donna che lo incontrano.
Forse chiedo troppo se immagino che tutti i potenziali assassini di donne imparino questa lezione del divin Maestro nel lasciare andare chi non accetta legami pesanti? Ma almeno noi suoi seguaci cerchiamo di entrare in questa logica evangelica che chiede di amare tutti, anche e specialmente gli ultimi e rifiutati dalla società, ma sempre aperti a rispettare la loro liberta, senza pretendere che chi aiutiamo diventi come piace a noi perché riconoscente del bene ricevuto
Pensate che anche i preti non soffrano nel vedere i tanti che pian piano lasciano le nostre assemblee liturgiche o nel vedere i ragazzi che dopo la cresima ci salutano con un CIAO grosso così? Ma se vogliamo essere degni discepoli del Verbo incarnato, dobbiamo proprio riuscire ad annunciare a tutti il suo vangelo, magari anche con le parole e le prediche, come dice San Francesco, perché come lui dobbiamo amare le moltitudini di quanti han bisogno di una parola buona e di un aiuto concreto, lasciando sempre libero il cuore di tutti perché sappiano riconoscere personalmente il valore e la ricchezza del messaggio evangelico.
Anche da questo punto di vista in effetti si tratta di mettere in pratica una semplice regola delle nostre famiglie. I genitori infatti si impegnano in modo direi encomiabile per far crescere i propri ragazzi educandoli alla responsabilità personale per poi lasciarli andare un giorno nel mondo pronti ad assumersi le proprie responsabilità religiose e civili. Quando però nell’educazione dei ragazzi ci dimentichiamo di questa attenzione di fondo e ci preoccupiamo con un eccessivo protezionismo, convinti di poter dare solo noi tutto ciò di cui hanno bisogno, prima o poi, sia nelle famiglie come nella chiesa, si opera un distacco traumatico e doloroso.
A volte anche nelle nostre comunità, come dice il teologo Sequeri, abbiamo bisogno di “schiodarci dalla nostra patetica malinconia del nido vuoto, perché i nostri figli coccoli ci abbandonano”. Non si tratta di chiudere i cancelli per non farli uscire, anche perché dobbiamo renderci conto che in realtà non sono mai entrati davvero né tantomeno di accampare scuse o cercare colpe, ma piuttosto siamo tutti chiamati a offrire atteggiamenti, parole e opere, cioè una cultura vitale capace di rivelare la bellezza e la forza del messaggio evangelico perché la Parola di Gesù risuoni ancora forte e chiara nel cuore e nella mente degli uomini.
Accogliamo volentieri le sfide del futuro sapendo che la forza della fede e del bene che abbiamo nel cuore avrà sempre la meglio su qualsiasi forma di male e di lebbra, fosse anche ammantata del luccichio del progresso tecnologico: Gesù non ci lascia mai soli.