Bagnolo, 11 gennaio 2023
(Valentina Ricciuti) Il cremasco Davide Simonetta anche quest’anno sarà a Sanremo, in veste di autore e produttore, con tre brani inediti: “Comporre per artisti che partecipano al festival della canzone italiana è un’esperienza sempre molto toccante: è tra i palcoscenici più importanti per la musica in Italia, una sorta di Champions league dove si misurano i musicisti più bravi, oltre al campionato dei brani estivi. Quando artisti come Giorgia, Loredana Bertè, Marco Mengoni cantano, hanno il potere di emozionarmi e confesso che mi rende felice ascoltare un mio pezzo suonato dall’orchestra dell’Ariston. Sono tanti anni che faccio questo mestiere e naturalmente contano anche i risultati, le classifiche, il numero di passaggi in radio e gli ascolti su Spotify… Tutto questo, forse, potrebbe far perdere un po’ il vero senso di questo mestiere che però per me rimane la parte più spirituale e meno legata ai numeri. Quando parte la carovana sanremese, subito dopo l’annuncio ufficiale delle canzoni in gara, inizia a prendere vita sul palco il brano che hai composto da zero. Il numero degli orchestrali è già deciso in partenza e io mi dedico anche all’arrangiamento. Penso sia davvero un appuntamento che mi ricongiunge alla musica”.
Nasci come cantante e sappiamo che sei polistrumentista. Come mai hai deciso di scendere dal palco e spostarti principalmente sulla fase di creazione musicale?
“C’è tutto un sottobosco di persone che fanno questo mestiere per scelta perché non amano i riflettori e che sono un ingranaggio fondamentale della macchina: la vera essenza della musica non è fatta di autografi o selfie. Anni fa ho capito che non amo molto i riflettori e tutto quello che ne consegue e quindi ho deciso di reinventarmi. In realtà sono sempre stato autore di canzoni. Faccio il mestiere che mi piace, sembra una banalità, ma trovo sia la più grande conquista. La vivo come una sorta di missione: “costretto” a far musica per sopravvivenza senza ferie e con notti insonni… continuo a scrivere. Sono almeno 15 anni che lavoro come autore e produttore”.
Come nasce una hit di successo?
“La canzone inizia a scriversi quando l’artista arriva in studio e beviamo insieme il caffè. Molti autori come Tananai portano le proprie idee: testi, beat, immagini. Da qui comincia a svilupparsi un lavoro magico a più mani. Devo confessarvi però che i brani che hanno ottenuto sette dischi di platino non sono quelli a cui ho lavorato per mesi, ma sono nati in modo del tutto spontaneo in poche decine di minuti”.
So che fai il pendolare da Milano, dove vivi, per raggiungere il tuo studio che è a Bagnolo Cremasco. Hai mai pensato di trasferirti nella metropoli?
“Faccio fatica a staccarmi dalla mia terra e dalla provincia che è ancora uno stimolo. A Bagnolo sono venuti a trovarmi tanti artisti e mi hanno confessato di essersi trovati benissimo. Sono sempre itinerante ma torno volentieri alla casa madre. Mi trovo a vivere una sorta di dualismo, passando da ambienti molto sfarzosi (quando sono in tour con gli artisti) al mio amato bar a Ombriano, dove mi piace andare per ritrovare il contatto con la mia gente: i loro racconti, così come la nebbia, sono uno stimolo che mi permette di andare avanti. Qui in pianura è nato tutto e non riesco proprio a farne a meno. Ho cominciato ad appassionarmi alla musica fin da piccolo, preferendola alle uscite in motorino, in una sorta di dimensione totalizzante. Come dico sempre durante i corsi che tengo, non tutti hanno la fortuna di nascere John Lennon o Freddy Mercury ma la differenza si può fare con la dedizione e l’impegno. Ho lavorato sei volte più degli altri e più di metà della mia vita l’ho passata in studio dove, a differenza della vita reale, posso controllare le cose che accadono”.
Ti va di salutarci con un tuo brano che ami particolarmente?
“Sicuramente Cheyenne è un pezzo a cui sono tanto legato, cantato da Francesca Michielin e scritto insieme a Mahmood. Rispecchia il mood un po’ malinconico con il quale sono nato artisticamente… Negli ultimi anni invece, da quando nella mia vita è arrivata molta luce, le canzoni hanno assunto colori e tonalità maggiori. Mille, il primo estivo su cui ho lavorato con Fedez, o La dolce vita, sono pezzi in stile anni ’60 che continuo ad ascoltare sempre volentieri. Rimango comunque dell’idea che chi fa musica ed è a contatto con l’arte non può che essere tormentato. Bruno Lauzi diceva: “Se sono felice esco, non rimango in casa a scrivere canzoni”.
Nella foto, di Benedetta Bressani, Davide Simonetta