Crema News - Tra storia e mito Bartolino Terni

Crema, 06 maggio 2024

(Bernardo Zanini)

Bartolino Terni

Nell’anno 1483 Venezia era in guerra col Duca di Ferrara a cui si erano alleati gli Sforzeschi, la Repubblica Veneta affidò a Bartolino Terni 400 fanti per la difesa di Crema. Nell’estate del 1484, gli sforzeschi sotto porta Ombriano provocavano gli assediati con sberleffi e parole ingiuriose, sperando che uscissero da Crema per dare battaglia. Ma Bartolino da vecchio soldato, usò un espediente scenico quasi teatrale, divise i suoi soldati, facendo credere agli sforzeschi che aveva moltissimi armati. Notte tempo uscì con delle barche da una via non presidiata in un posto chiamato le torrette, dove c’era un canale. Nella notte sbucò Bartolino con gran rumore di trombe e tamburi e fiaccole, mentre sulle mura si accesero torce e strepitarono le armi. Quell’improvviso apparire tra le tenebre di trombe, tamburi e fiaccole, quasi teatrale gettò gli sforzeschi nel panico, centuplicando nell’immaginazione il numero dei nemici e i’è scapàt a gambe leade, 44 di loro vennero presi prigionieri. L’indomani gli sforzeschi prigionieri vennero liberati da Bartolino che con una bacchetta in mano li fece uscire da Crema tra le beffe e la derisione della popolazione.[1]

 

Fra Gigliolo

Nel primo decennio del 1500, Crema era occupata dai Francesi. Contro i Francesi si erano armati oltre ai Cremaschi anche i contadini dei paesi vicini, accampati a Campagnola ed erano comandati dal frate Francescano Agostino Gigliolo, che nelle battaglie metteva tanto ardore menando botte da orbi, da meritarsi un premio dalla Repubblica Veneta. Secondo i cremaschi sembra che il governatore Duras avesse più paura di lui che di tutti gli altri messi insieme, l’era an frà che l’benedia con la scua.[2]

 

L’armata dei Frati

Quando c’è da menare le mani, non è che i frati facciano brutte figure, anzi spesso sotto l’umile saio si nasconde un ardimentoso combattente e quelle grandi maniche coprono da sguardi indiscreti due grandi mani che se le ta rìa adòs puarì té. La storia racconta che al tempo della guerra intrapresa da Venezia contro i Turchi, Fra Gianbattista da Crema propose all’ambasciatore lagunare a Roma di formare un intero reggimento composto da soli frati. L’idea del religioso cremasco venne accolta dal senato Veneziano e trasmessa alla corte Pontificia. Discussa e approvata da un’apposita commissione di cardinali che ne apportavano delle modifiche e decideva il luogo dove riunire la truppa di soli frati col cùrdù. Il senato Veneto esultava, perché si vedeva rafforzare le truppe da una nuova armata. Si esultava in Vaticano, che vedeva nell’iniziativa una buona occasione per ridurre il numero di frati nei conventi, spesso superaffollati, motivo di molti disordini. Esultavano i padri responsabili dei conventi, perché potevano liberarsi di quei frati che i fàa trìbùlà. Esultavano tutti meno frate Giambattista da Crema che l’è mia dientat general. L’ambasciatore spagnolo si oppose ferocemente all’impresa, tanto fece e tanto tuonò che la proposta venne lasciata in sospeso e poi dimenticata. È grazie alla decisone dell’ambasciatore Spagnolo se la razza Turca…la gh’è amó

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Palazzo Donati/Benzoni e l’Innominato.

Il palazzo Donati/Benzoni è in un vicoletto che da piazza Duomo oltre l’edicola porta in via Marazzi. La costruzione dei primi anni del 1500 si deve a Socino Benzone, che dopo la disfatta dell’esercito veneziano ad Agnadello, consegnò la città di Crema ai francesi e ospitò il Re di Francia nel suo palazzo. Quando i veneziani ripresero il territorio cremasco il Benzoni venne impiccato. Socino Benzoni lasciò tre figli, uno dei quali ebbe a sua volta tre figli, tra cui una donna di nome Paola che sposava Giovanni Battista Visconti. Anche loro ebbero tre figli tra i quali quel famoso Bernardino Visconti, nato il 16 settembre del 1579 a Brignano Gera D’Adda (nella chiesa parrocchiale si conserva l’atto di nascita) e immortalato nelle pagine dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. La presenza dell'Innominato nel Cremasco sembra storicamente accertata, avendo egli dimorato per anni nell'antica e storica cascina, ormai demolita, situata nella frazione Gaeta di Bagnolo. Nel 1593 a Bagnolo, il quattordicenne Bernardino, a capo di ventisei bravi armati, fece irruzione nella dimora di un uomo agiato, denominato Schiavini, lo aggredì e gli devastò la casa. Il 22 dicembre di quell'anno il Consiglio dei Dieci di Crema decretò il suo bando dalla città e dal territorio. Bernardino Visconti veniva spesso a Crema di nascosto, a trovare la madre a Palazzo Benzoni, ma anche per reclutare i bravi e per sfuggire alla giustizia del governatore di Milano, a causa dei suoi misfatti. Nel 1619, in occasione della visita pastorale a Treviglio, incontrò il cardinale Federico Borromeo con il quale dialogò per due ore. Fu probabilmente l'occasione e il momento della conversione. Dopo una vita dissoluta, ormai vecchio e malandato finiva i suoi giorni nel convento dei frati Cappuccini dei Sabbioni, dove si dedicava alla preghiera e alla penitenza. Morì intorno al 1647, nel palazzo Benzoni a Crema, all'età di 68 anni, e fu tumulato nella cripta della famiglia Benzoni, situata nel Duomo di Crema, ma purtroppo di questa tomba si è persa ogni traccia, altro mestér cremasch.[4]

 

Disciplina

Nel 1700 anche se Crema pullulava di chiese e conventi, spesso venivano invitati dei missionari per predicare. Questi religiosi aiutandosi con un apposito apparato scenico, incutevano paura ai fedeli. Con questi sistemi riuscivano ad ottenere risultati prodigiosi, come la conversione istantanea di peccatori incalliti e la riparazione di torti subiti o causati. Molti riconvertiti andavano a chiudersi nei conventi per fare penitenza. Altri ancora spaventati da questo terrore religioso psicologico, perdevano la ragione e si suicidavano. Le prediche venivano fatte nelle chiese di Crema ad orari prestabiliti e l’ultima veniva fatta alla sera, era vietata alle donne e si svolgeva a porte chiuse al buio. Al termine veniva praticata la disciplina, cioè ogni penitente si flagellava con delle corde annodate ad un bastone. In mezzo alla massa di penitenti si intrufolavano bande di burloni, che con la complicità del buio tiravano tremende frustate da tutte le parti. Chi aveva di cünt da rangià, trovava l’occasione propizia per tiras vea an pis dal stòmech, si appostavano vicino al malcapitato e i la metìa a pòst a früstàde. Altri burloni battevano i pugni sia sui banchi e sui confessionali per far rumore e incutere paura. Tra i penitenti si alzavano grida di dolore e di soddisfazione e i versacci di chi l’era adre a ùns le cüsidǜre a qualche

póre màrter da mèt a pòst

. [5]

 

Il capitano di vascello

Da un manoscritto cinquecentesco che arriva fino alla fine del 1800, appartenente a un signore abitante a Crema deceduto durante il Covid, ho letto una strana storia inedita. Ai primi del 1800 si legge di un capitano di vascello mercantile nativo di Crema che ormai anziano venne ad abitare in piazza Garibaldi con la moglie. Il capitano non era uno che stava con le mani in mano e per far passare il tempo cominciò a costruire una barchetta a vela in un cortile della piazza. Passano i mesi e dopo un anno e mezzo aveva costruito un piccolo brigantino a tre alberi e per portarlo fuori dal cortile, si dovette demolire il portone e la facciata di una casa. Al momento del varo nel fiume Serio, si era raccolta una piccola folla di curiosi, ma quando la nave era nel fiume colò a picco tra le risate degli astanti e il capitano, dopo lo smacco subito, con la moglie andò via da Crema e non se ne seppe più nulla.[6]


(prima parte)


[1] Francesco Sforza Benvenuti, Storia di Crema volume 1, pag.197.

[2] Mario Perolini, Compendio Cronologico della Storia di Crema pag.68

[3] Mario Gnesi, op.cit. nota 3

[4] Mario Gnesi, op.cit.nota 3

[5] Manoscritto inedito proprietà privata

[6] Manoscritto inedito proprietà privata