Crema, 10 novembre 2024

(Valentina Ricciuti) Buonasera Mario Biondi e benvenuto nella città di Crema. Non è la tua prima volta qui … 

“Sto cominciando a prenderci gusto: mi piace tantissimo l’acustica del teatro San Domenico, molto bella e classica, con questi archi gotici… prenderò la cittadinanza onoraria cremasca! E poi, come diceva Fiorello, qui c’è la crème de la creme dei jazzisti”.  

E' sempre riuscito a catalizzare il suo pubblico con sold out ovunque nel mondo e anche quest’anno ha realizzato 110 date in 23 Paesi. Nonostante il successo, trova ci sia qualcosa che non funzioni nel sistema musicale italiano? 

“Penso che in ogni nazione, mestiere, passione, possa esserci qualcosa che non vada. La musica è sempre stata un business. Le case discografiche si occupano esclusivamente di un certo tipo di produzione e garantiscono un certo tipo di introito grazie a quello che è di moda e perdono a mio parere gli artisti un po’ più piccini che hanno comunque da dire qualcosa. Non sono un grande ammiratore degli americani per certi versi ma, quanto meno, sono riusciti a far sì che la musica sia un prisma dove c’è jazz, blues, funk, pop, soul r&b. Questa è una cosa che secondo me manca tanto in Italia. Avevo pensato di occuparmi di un progetto del genere. Ve lo sto spoilerando: volevo occuparmi proprio di creare dei comparti musicali dove non è necessario essere mainstream per essere nella classifica e tutto il resto non esiste. Abbiamo tanta musica in Italia ed è un peccato che tutta l’attenzione mediatica sia focalizzata altrove. Ho sempre amato la radio ma ultimamente ascolto soltanto Radio Montecarlo e il resto non lo ascolto più perché mi sono stufato. E mi dispiace soprattutto per loro”. 

Il progetto L’Oro, uscito per Beyond e distribuito da The Orchard, è il primo della sua discografia dove canta in italiano. È un omaggio al cantautorato della nostra penisola ma anche ai suoi genitori che l'hanno immersa sin da bambino in questa musica? 

“A loro devo tutto perché mi hanno dato la vita, tanto affetto e mi hanno insegnato a vivere nel bene e nel male. Vorrei dire ai figli che si lamentano dei genitori perché si aspettano qualcosa di diverso da loro, di essere felici e di guardare a quello che si vede e non a quello che si vorrebbe vedere. La musica italiana mi ha sempre coinvolto e mi ha dato grande forza. Ho seguito tanti artisti e cantautori come Baglioni, De Gregori, Fossati, Cocciante, Lucio Dalla, Pino Daniele: loro mi hanno spiegato quale potesse essere la mia strada, che non doveva coincidere necessariamente con la loro, ma poteva attingere a ingredienti che loro hanno in maniera così altruistica divulgato”. 

Qual è il confine tra interpretazione, omaggio, parafrasi, influenze della storia musicale e la rielaborazione in qualcosa di personale in un nuovo unicum contemporaneo? 

“In fin dei conti siamo fortunati perché ce ne rendiamo conto soltanto quando mettiamo il sedere sulla graticola: quando sei realmente sul fuoco senza paura, ti accorgi che pur facendo le stesse note, gli stessi intervalli con la stessa dinamica e tonalità, sei comunque diverso dall’artista che stai interpretando. Quello è l’attimo in cui pensi a quanto sia vero che in realtà siamo delle impronte digitali, unici al mondo”. 

Come e quanto il cantautorato di un uomo maturo, padre di dieci figli che sorride alla vita può compenetrare nella forma del jazz? 

“Ringrazio per questa domande non banale. Jazz è un modo di essere e, malgrado voglia fare i comparti per valorizzare i generi musicali, non amo creare distinzioni tra generi perché per me la musica è una. Certo, penso sia fondamentale da parte di chi si occupa di produzioni musicali o di diffusione da parte dei media, dare delle informazioni esatte, altrimenti ci riduciamo sempre al ‘Mario Biondi canta soul, è il Barry White italiano’. Se invece si ascoltasse tutto il percorso della Philadelphia degli anni ’60 - ’70 si scoprirebbe che ci sono stati tanti esponenti che si occupano di ciò che faccio e non solo il grande Barry White”. 

Cosa consiglierebbe ai giovani cantautori che utilizzano piattaforme come Spotify per cercare di emergere?

“Gli consiglierei di amare. Amare non vuol dire ricevere dei risultati. E questo è quello che ti rende forte e realmente ancorato a quello che stai facendo. Se ami la musica devi continuare ad amarla anche quando ti buttano fuori dai locali come è accaduto a me. Potrebbe accadere di fare milioni di streaming ed il giorno dopo no. Questo potrebbe significare che si deve ancora lavorare sulla canzone precedente o che si debba crescere e impegnarsi di più”. 

Che musica ascoltano i suoi figli?

“Non vorrei mai riascoltarmi ma quando siamo in auto i miei figli mi chiedono di ascoltare i miei album… quando posso, condivido con loro qualche classico. Mio figlio Milo di otto anni ultimamente si è appassionato a ‘O Pato… credo che la musica brasiliana abbia sempre il potere di far sorridere ed è quello che voglio trasmettere ai miei ragazzi”. 


Mario Biondi è questa sera al teatro San Domenico con inizio alle ore 21:00