Crema, 18 novembre 2017

“Signor giudice, mi lasci con la mia mamma. Le prometto che faccio il bravo”. E' l'inizio di un'accorata lettera che un ragazzo di 14 anni di Crema ha scritto al magistrato del Tribunale di Minori di Brescia perché receda dall'ordine che ha dato: allontanamento dalla famiglia per dipendenza da videogiochi. Una vicenda complessa quella che ha visto al centro dell'attenzione un ragazzino di 14 anni di Crema, così debole da cadere nella trappola dei videogiochi ma, a quanto pare, così forte da essere in grado di rialzarsi da solo. Una storia che parte da lontano, due anni fa quando la mamma, abbandonata da tempo dal marito con i due figli, una ragazza oggi maggiorenne e il ragazzino in questione, ha chiesto aiuto ai servizi sociali cittadini per meglio gestire il figlio, soccorso che le era stato concesso. Il ragazzo è stato seguito nel reparto di neuropsichiatria infantile e a scuola ha ottenuto un insegnante di sostegno. Tutto bene fin quasi sul finire dell'anno scolastico, quando hanno cominciato a evidenziarsi alcune assenze. Ma è arrivata l'estate e tutto è sembrato tornare a posto, tanto che i neuropsichiatri decidono di passare il ragazzo allo psicologo (passaggio che però non si è mai concretizzato). E' arrivato il nuovo anno scolastico, ma il giovane a scuola non ha trovato l'insegnante di sostegno e ha cominciato a diradare le sue presenze, sempre più risucchiato dalla sua play station. La mamma ha avvertito di quel che stava succedendo i servizi sociali i quali hanno incolpato la madre di negligenza e si sono rivolti al giudice dei minori che, a sua volta, ha emesso il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare e di sistemazione del ragazzo presso una comunità.

“Prima di emettere il provvedimento – ha spiegato il magistrato – sono state percorse tutte le strade, senza ottenere alcun che di positivo. Di lì la decisione. Il ragazzo sarà tolto alla famiglia, che però potrà regolarmente visitarlo. Se il percorso indicato sarà eseguito con regolarità, il giovane potrà far rientro a casa”. Il provvedimento è stato promulgato ai primi di ottobre e sin qui non è stato applicato, ma pende come una spada di Damocle sulla testa della famiglia. La mamma, che non è riuscita a farsi ascoltare dai servizi sociali, ha allora interpellato il Comitato dei cittadini per i diritti umani, raccontando tutta la storia.

“In questa vicenda – dice Paolo Roat – non si tiene conto della volontà del minore, come prescrive la convenzione di New York, ratificata anche dall'Italia e noi siamo determinati ad andare anche dal magistrato per far valere le ragioni del ragazzo il quale, è bene ribadirlo, vuole restare in famiglia”.

E lo spavento provato dal giovane è stata una scossa molto forte perché quando ha saputo che stavano per portarlo via da casa, ha consegnato la play station alla mamma e ha ripreso a frequentare le lezioni con regolarità e impegno. Tuttavia, resta l'ordine del giudice e la determinazione dei servizi sociali a farlo rispettare. Anche con la forza. Un braccio di ferro dove perderà uno solo: il ragazzo.